Il boogie woogie e l’innovazione tecnologica: tra piani meccanici e tastiere elettroniche

Il boogie woogie e l’innovazione tecnologica: tra piani meccanici e tastiere elettroniche

I sentitazzatori escono dai laboratori sperimentali per spopolare in ambito pop solo nella seconda metà degli anni ‘60. In occasione del convengo Audio Engineering Society tenuto a New York nel 1964, l’ingegnere americano Robert Moog presenta il primo sintetizzatore modulare a voltaggio controllato. Il Moog, rispetto ai prototipi precedenti, è di dimensioni più piccole, di costo meno elevato e soprattutto munito di tastiera: in virtù di queste qualità viene lanciato sul mercato e seguito a ruota da modelli di altri costruttori. Dal 1967 in poi, lo strumento elettronico cessa di essere suonato solo da una ristretta cerchia di musicisti d’avanguardia e inizia ad essere adottato da un numero crescente di artisti pop. Nello stesso periodo in cui molte band psichedeliche cominciano a usare il sintetizzatore per ampliare i propri orizzonti musicali, alcuni pianisti accademici decidono di impiegare la nuova apparecchiatura per rileggere il repertorio classico. Quest’approccio passatista non viene applicato solo alle opere di compositori del calibro di Ludwig Van Beethoven o Scott Joplin ma anche al materiale tradizionale blues e country. Se dischi come Switched-on-Country di Rick Powell del 1970 e Switched on Nashville-Country Moog di Gil Trythall del 1972 si concentrano sul country ma sconfinano nel novelty, album come Blues Current di John Murtaugh del 1970 e Gandharva di Beaver & Krause del 1971 affrontano il blues ma optano per la free form. Nel complesso, l’introduzione del Moog nei due generi di derivazione popolare sembra abbastanza deludente.

Rispetto al blues e al country, il boogie woogie rappresenta un caso differente: il ritmo del pianoforte vanta infatti vistose analogie con il funzionamento di una macchina. D’altra parte, l’incedere ossessivo del boogie spinge, nel corso dei decenni, Conlon Nancarrow a servirsi di un pianoforte meccanico con rulli di carta perforata per “Boogie-Woogie Suite” del 1949 e Steve Gray a sfoggiare al pianoforte tradizionale un fraseggio pseudo-robotico in “Robot Boogie” del 1974. Se il brano di Gray mostra una convergenza superficiale tra il boogie woogie e l’automazione elettronica, la suite di Nancarrow sottende un legame profondo tra il vecchio genere e la nuova tecnologia. Il primo sintetizzatore programmabile è infatti una complessa apparecchiatura priva di tastiera ma debitrice al pianoforte meccanico per l’utilizzo della tecnica della carta perforata. Si tratta dell’RCA Sound Synthesizer, presentato dagli ingegneri Herbert Belar e Harry Olson nel 1955 nella sua prima versione al David Sarnoff Research Center di Princeton e nel 1958 nella versione aggiornata al Columbia-Princeton Electronic Music Center di New York. Mentre la diffusione del pianoforte meccanico declina con l’avvento del disco di vinile, l’idea del programmatore automatico scompare proprio con la reintroduzione della classica tastiera. In questo senso, il progresso tecnologico apportato da Robert Moog implica un ritorno al modello del pianoforte classico e il Moog risulta essere uno strumento più efficace degli altri prototipi ma meno robotico del pianoforte meccanico.

Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70, il musicista Paul Beaver è il più attivo divulgatore del Moog in ambito rock. Pubblica cinque dischi sperimentali in compagnia di Bernie Krause, suona nei lavori di Byrds e Monkees e introduce Beatles e Doors allo strumento. La partecipazione del musicista al festival di Monterey del 1967 decreta poi la fortuna del sintetizzatore: un buon numero di addetti ai lavori scopre infatti il Moog solo in quell’occasione. Tra i tanti impegni del periodo, il tastierista incide nel 1969 anche il primo album di boogie elettronico. L’opera, interamente strumentale, non resta negli annali ma dimostra il nesso tra lo stile pianistico afroamericano e la nuova diavoleria tecnologica. L’LP Moogie Woogie esce nel 1970 per la Chess Records di Chicago a nome Zeet Band: se la misteriosa sigla cela il nome del protagonista, il buffo titolo suggerisce lo strumento e il genere di riferimento. Con la produzione di Norman Dayron, il disco di boogie per Moog, viene inciso, tra la California e l’Illinois, in cinque studi differenti: Elektron-Muzics di Los Angeles, Sound Recorders di Hollywood, Sierra Sound Labs di Berkeley, Sonart e Ter-Mar Recording di Chicago. Paul Beaver al synth è accompagnato da uno stuolo di strumentisti: Michael Bloomfield alla chitarra, Mark Naftalin e Erwin Helfer e Norman Dayron alle tastiere, Ira Kamin e Donny Hathaway al piano, Phil Upchurch, Joe Osborne e Ray Pohlman al basso, Morris Jennings, Richard Berk e John Guerin alla batteria e T. John Conrad e Lawrence Brown ai fiati.

La Zeet Band pubblica l’LP Moogie Woogie nel 1970 per la Chess Records.

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