La scomparsa delle scritte a biro sulle banconote

La scomparsa delle scritte a biro sulle banconote

La questione del ritorno alla lira e dell'abbandono dell'euro torna ciclicamente all'ordine del giorno. Ma persi tra ragioni economiche e deliri complottisti, non ci si sofferma mai sull'aspetto meno sostanziale ma dal maggior rilievo sociale e di costume. Le banconote al tempo della lira erano spesso arricchite da frasi scritte a biro dai cittadini. Gli euro hanno visto la scomparsa di questa tradizione tutta italiana. Rimangono soltanto, talvolta, le cifre anonime della chiusura di cassa di qualche commerciante. Niente più poesie, anatemi, dichiarazioni d'amore, polemiche politiche e frasi nonsense. Basta con i vari “L’amore per il denaro è la radice di tutti i mali” e “Non un soldo per la guerra” ma stop anche ai non meno evocativi “Mario è cornuto”, “Forza Toro” e “Vendesi vespa. Chiamare a ore pasti!”, a seguire il numero di telefono. Via così i calcoli e le liste della spesa, gli annunci commerciali e le pubblicità di negozi, promesse di prestazioni sessuali corredate da numeri telefonici e catene di Sant’Antonio. Purtroppo si sottrae così alla nostra quotidianità il sempiterno e sempreverde “scemo chi legge” e con esso “Andreotti infame”, “Pizzeria da Pino. Via Mazzini 27” e “Sono gay e cerco nuovi amici. Telefonami!”, a seguire sempre numero di telefono.

Se per anni, vicino ai volti severi di Giuseppe Verdi o Maria Montessori, sono apparse brevi frasi originali o insipidi luoghi comuni, proverbi e disegni, l’euro ha visto quindi la trasformazione dell'acquirente in automa asettico: ricevuto lo stipendio, l’italiano spende le banconote senza più impreziosirle come in passato. I più pragmatici diranno che non se ne ha il tempo materiale, vista la penuria di denaro, l’aumento del costo della vita e la progressiva recessione. Forse però c’è qualcosa di diverso. Quelle frasi, intelligenti o dementi che fossero, hanno rappresentato un surplus emotivo alla filigrana della Banca d'Italia, un dispositivo di sicurezza che stava a segnalare l'esistenza di sogni individuali, "Laura ti amo", e ragioni collettive, "Governo ladro". Erano quindi la materializzazione di slanci e passioni, rabbie e amori. Ora niente più. Gli euro rimangono di fatto immacolati dalla Zecca di Stato al macero: di fronte a loro quasi un timore reverenziale, una deferenza verso sconosciuti. Jannacci, in una celebre sua canzone, diceva che c’è chi vota scheda bianca per non sporcare: sembra che per gli euro accada qualcosa di molto simile. Eppure si dovrebbe aver già accantonato l'imbarazzo e presa confidenza, dopo più di 10 anni di frequentazione. Ma il cittadino medio, il provinciale insicuro, con la voglia di essere protagonista senza comparire, che nei decenni scorsi si sbizzarriva a decorare il denaro, con l’avvento dell’euro sembra paralizzato dalla paura di imbrattare, di macchiare qualcosa di sacro, fresco di conio.

A voler fare un ragionamento razionale si possono trovare molte cause plausibili all’interruzione della simpatica pratica. Si potrebbe ipotizzare che siccome scrivere sul denaro è illegale, perché compromette il valore della banconota, gli italiani abbiano maturato negli anni una sensibilità legalitaria. Ma chi ci crederebbe? Oppure potrebbe serpeggiare con più insistenza di prima la paura di invalidare il pezzo, perdendone il potere d’acquisto. Già più probabile. Si dirà che si rispettano di più i soldi, perché scarseggiano drammaticamente a causa della crisi. All’epoca della Lira, inoltre, chi voleva comunicare messaggi alla comunità, distorcendo il passamano della compravendita, utilizzava con maggior frequenza le poco blasonate mille lire. Oggi il taglio più piccolo dell’euro, quello da 5, vale dieci volte tanto. E se un tempo il basso valore della cartamoneta induceva alla creatività, le cifre ingenti delle banconote di oggi scoraggiano l’arte dello scarabocchio. La carta poi, ad una visione attenta, è più lucida e meno porosa di quella della Lira, e dà l’idea, sbagliata, di resistere maggiormente all’inchiostro e di non essere adatta alla scrittura. Infine si potrebbe supporre che gli euro siano intonsi perché la valuta è valida non solo in Italia, ma in tutti paesi europei e gli italiani non hanno voglia di fare l’ennesima figuraccia all’estero. Va bene passare da cretini in patria ma non sta bene farlo in eurovisione.

Rimane in campo, come teoria più accreditata, l’ipotesi secondo la quale l’avvento del cellulare prima e del computer dopo abbia rimpiazzato l’utilizzo improprio del denaro, insieme ai vecchi metodi di comunicazione. Umberto Eco ha paragonato certi aspetti della modernità ai passi a ritroso del gambero. Da penna e calamaio si è passati al telefono per poi tornare alla lettera, seppur digitale, con sms e mail. Ripieghiamo quindi, nella nostra era, alla scrittura ma abbandoniamo i mezzi classici, e tra essi anche quelli più eccentrici e meno convenzionali. Se i messaggini del cellulare hanno quasi monopolizzato il dialogo a distanza tra due singole persone, i post di facebook e i cinguettii di twitter materializzano la possibilità di far conoscere a più individui possibili, intimi o meno, i propri slanci ideali, i propri pensieri più nobili e con essi i più bassi sfoghi e le più abiette piccolezze. A quel punto a nulla serve la carta da lettere ma a poco giova l’uso improprio della banconota. E’ vero poi che i cugini celebri delle scritte sulla cartamoneta, i graffiti, continuano a brulicare: ma se le scritte murarie persistono nella nostra società, sono sempre più ridotte a tag, a semplici firme pasticciate con la bomboletta spry, e di rado veicolano concetti importanti e paradossi clamorosi, come al tempo del maggio francese.

La scomparsa delle scritte a biro dal denaro implica quindi qualcosa di più profondo. L'italiano si limita oggi come non mai a consumare, senza disturbare il conducente. Ma quel deficit di indignazione, così tanto biasimato dagli intellettuali impegnati, non ha neppure come ripercussione un’emersione nel pubblico del privato: non c'è un ripiegamento, almeno, sui tagli piccoli e grandi della moneta unica europea, verso i drammi e le gioie individuali. Non c’è nulla, neppure la dimostrazione di un riflusso verso l’oasi dell’intimo come accadeva un tempo, nei periodi successivi alle grandi ondate di mobilitazione. Un vuoto pneumatico. Uno zero assoluto. Una tabula rasa emotiva, dovuta anche al continuo stimolo allo sdegno perpetuato da una specie di industria dell’indignazione, fatta di giornalismo cartaceo e prodotti editoriali ad hoc. C’è infatti un target di persone che subisce quotidianamente, con una fitta campagna marketing di politichese, una sorta di tentativo di rabbia indotta, di rancore “in vitro”, che alla fine dei conti provoca sgomento per tutto e per nulla, crea assuefazione e porta all’inazione e alla contemplazione inerme dello sfacelo e del decadimento del circostante, da Pompei alla sanità pubblica. Tutti arrabbiati ma dimentichi del motivo, scambiano la propria bava alla bocca per acquolina e ricominciano a mangiare lo stesso pasto, ogni giorno, limitandosi a criticare chi guarda la TV.

I Ramones secondo Pablo Echaurren

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La scomparsa degli scarabocchi

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