La misconosciuta epopea dei Groundhogs: gioie e dolori di Tony McPhee

La misconosciuta epopea dei Groundhogs: gioie e dolori di Tony McPhee

La fulgida parabola dei Groundhogs è tanto incredibile quanto ignota al largo pubblico. Tony McPhee, cantante, chitarrista e leader della band londinese trasporta i suoi compagni di viaggio, dal blues ortodosso degli esordi alla sperimentazione elettronica, attraverso un poderoso hard-psych. Il tragitto si svolge in una delle epoche più fertili e prolifiche della storia della musica, il periodo magico che va dall'esplosione della psichedelia alla fine della "old wave". In realtà l'esordio dei Groundhogs è ancora precedente: la band nasce nel 1963, quando debuttano i Rolling Stones e si fa strada il blues revival. Dopo aver pubblicato un paio di singoli di blues canonico "Shake It/Rock Me" a nome Groundhogs e "Someone To Love Me/Ain't Gonna Cry No Mo'" a nome McPhee, e aver accompagnato dal vivo e su disco John Lee Hooker, il gruppo dà alle stampe uno scialbo 45 giri pop "I'll never fall in love again/Over You Baby". Se la band si fosse fermata qui non sarebbe passata alla storia.

A dir la verità, i Groundhogs non sono passati alla storia neppure con le uscite successive, o perlomeno non sono solitamente annoverati tra i nomi maggiori del pantheon del periodo. Eppure la parabola disegnata da Tony McPhee, in larga parte accompagnato dai soli Ken Pustelnik alla batteria e Peter Cruickshank al basso, rappresenta un originale percorso nella scena musicale dell'era '68-'74. Se il primo LP,  Scratching the Surface del 1968, con Steve Rye alla voce e all'armonica, è ancora legato al blues standard, dal secondo disco si dipana un'evoluzione nel sound e nella composizione in sintonia con l'innovazione apportata dai due principali power trio, Cream e Experience, ma in eguale assonanza con gli umori undeground di formazioni alternative come Deviants e Pink Fairies. Gradualmente prende piede in McPhee la voglia di sperimentare con l'elettronica, pulsione che si concretizza negli ultimi dischi in esame, incisi nello stesso periodo del debutto di Brian Eno.

Procedendo con ordine, occorre quindi iniziare la carrellata delle opere maggiori partendo da Blues Obituary del 1969: l'album è una sorta di de profundis del blues, almeno nella sua versione purista. Nei primi anni dal 1963 al 1968, i nostri sono stati una band ossequiosa alle regole del genere. Con l'opera in questione, cercano invece di mettersi alle spalle i calchi stilistici e gli esercizi calligrafici: sulla copertina i componenti della band sono ritratti, emblematicamente, mentre portano a spalla una bara. Tra le assi della cassa è adagiato il blues, genere amatissimo ma allo stesso tempo asfittico vincolo dal quale i Groundhogs vogliono liberarsi per dare pieno sfogo alla propria creatività. Se inizialmente sono transitati nella band altri membri, dopo la dipartita di Steve Rye, nel 1969 McPhee si trova quindi, con i fidi Pustelnik e Cruickshank, a guidare un classico power trio, figlio della rivoluzione sferrata da Jimi Hendrix, Eric Clapton e i loro quattro compagni di avventura. 

In Blues Obituary l'hard-psych non è ancora portato alle sue estreme conseguenze ma è evidente il tentativo di sradicare le radici per annodarle alle ali della dilatazione lisergica. Sintomatico in questo senso, l'omaggio a Blind Willie Johnson: il brano "Dark Was the Night" viene rivoltato come un calzino, musicalmente e concettualmente, in "Light Was the Day". Dal capitolo successivo a 33 giri, Thank Christ for the Bomb i testi si occupano spesso di questioni politiche e sociali. L'album si presenta come vario e sfaccettato, con una serie di brani quasi tutti inferiori ai cinque minuti. Si propone la giustapposizione tra acustico e elettrico, marchio di fabbrica di McPhee, come nell'affascinante e apocalittica canzone che dà il nome all'LP. Emergono poi sapori legati alla Londra alternativa di Edgar Broughton Band e Third World War. La pietra di paragone più naturale resta però quella del garage acido dei Deviants

Come la band del mitico Mick Farren, i Groundhogs, dal terzo LP in poi, mettono quindi al centro la questione sociale, la polemica antimiltarista e il timore per il pericolo atomico. Thank Christ for the Bomb rappresenta la pubblicazione più riuscita della band, con i brani migliori frutto, di una scrittura di tale qualità da poter rivaleggiare con i capolavori del periodo. L'LP successivo, pur mantenendo alta l'asticella del valore compositivo, si caratterizza per essere l'album più coeso e coerente del catalogo dei Groundhogs: un vero e proprio monolite consacrato all'hard-psych con un largo uso di effettazione: un esempio su tutti "Cherry Red". In questo senso Split del 1971 incarna il capitolo della saga con più punti di contatto con la scena nata all'ombra di Jimi Hendrix e che ha tentato, in maniera non sempre originale, di coniugare la psichedelia e il blues, pigiando sul pedale distorsore. 

Nel periodo dell'estremo addio di Blues Obituary e della ripartenza dei due dischi successivi, in tutto il panorama internazionale viene raccolta la sfida del nuovo verbo psichedelico e viene posto in dubbio l'ossequio al canone classico del genere. E così abbondano, significativamente, titoli di album come The Progressive Blues Experiment o Future BluesThe Turning Point o The End of the Game, nell'ambivalente tensione ad abbandonare il blues o cercare di rinnovarlo. Da una parte all'altra dell'oceano c'è chi, come Johnny Winter e Peter Green, fa leva sulla matrice hard: il primo animato da una vocazione al rock da pub, il secondo spinto verso la ricerca di una musica cosmica. Gruppi come i Canned Heat e i Bluesbreakers cercano invece di non seguire alla lettera la lezione hendrixiana: i primi realizzando una suite ancorata alla ruralità, i secondi impiegando strumenti acustici o rinunciando alla batteria. Nel complesso però è difficile in quei tempi non rileggere il blues con la lente hard. 

Al netto dei musicisti puristi, per un Captain Beefheart, che tenta una scomposizione tutta sua, si contano centinaia di band oggi oscurate dal mito dei Led Zeppelin. Risulta naturale per molti, se non per tutti, dopo il 1967, dilatare il blues, impiegare una certa vocalità aggressiva ma stridula, applicare i distorsori e allungare gli assoli. Eroi chitarristici come Rory Gallagher e Jeff Beck si muovono, dentro e fuori le loro band, nella direzione di una reinterpretazione modernista e virtuosistica del genere, che all'epoca viene tanto ammirata quanto considerata l'unica evoluzione possibile. In Inghilterra, band come Ten Years After e Savoy Brown Blues e in America gruppi come Mountain e Cactus danno il loro contributo al settore, con più o meno qualità, maggiore o minore originalità. Tra le innumerevoli formazioni, poche possono vantare le capacità e le intuizioni di McPhee e dei Groundhogs, ma molte di esse ottengono maggiori soddisfazioni, almeno di pubblico. 

McPhee oltre ad essere autore, cantante e chitarrista si cimenta progressivamente con un certo numero di diavolerie elettroniche: dal consueto Mellotron M400, una sorta di proto-campionatore con nastri preregistrati attivati da una tastiera, al raro EMS Synthi Hi Fli, un apparecchio multi-effetto per trattare la chitarra, passando per un sintetizzatore vero e proprio, l'Arp 2600. Se il Mellotron è uno strumento molto diffuso dalla psichedelia in poi, l'impiego dell'Arp 2600, solitamente associato a Pete Townshend, viene ispirato a McPhee dal lavoro dei colleghi Edgar Winter e Stevie Wonder. L'EMS Synthi Hi-Fli invece è stato sperimentato quasi contemporaneamente da David Gilmour in The Dark Side of the Moon e in Solid e dallo stesso McPhee. La passione per queste strambe apparecchiature si impone in McPhee tra il 1972 e il 1974, tra la pubblicazione di Who Will Save the World? The Mighty Groundhogs! e quella di Solid, attraverso la sua prima esperienza solista.

Who Will Save the World? The Mighty Groundhogs! del 1972, è il primo di tre LP giudicati minori dalla critica. Il disco in realtà è godibile e apprezzabile, inverte la rotta e torna alla forma canzone e a sonorità più secche. Se Split è composto dal lato A da unico brano dilatato ma diviso in quattro spezzoni e dal lato B con un'altra quaterna di pezzi, tutti inferiori ai sei minuti, il nuovo lavoro vanta canzoni dalla durata ridotta, alcune con l'aggiunta del Mellotron alla strumentazione, come "Earth Is Not Room Enough", ma assiepa nel finale dieci munti di jam in "The Grey Maze". In questo squilibrio formale si rispecchia la perdita dell'estro e della compostezza delle uscite precedenti. Il disco successivo Hogwash, prodotto buono e onesto del 1972, si ricollega a Split, vede l'ingresso di Clive Brooks alla batteria e rende rilevante la sperimentazione elettronica: nel brano "Earth Shanty" si incrociano Mellotron e Arp 2600.

Dopo la pubblicazione di Hogwash, McPhee dà alle stampe dapprima, nel 1973, il suo primo disco solista, The Two Sides Of Tony (T.S.) McPhee e poi, nel 1974, l'ultimo disco significativo dei Groundhogs, Solid. Nel 33 giri in solitaria, accosta in maniera contrastante un lato fortemente sperimentale ad uno rigorosamente blues e acustico, ponendo sul lato A una serie di canzoni in stile classico e sul lato B un'unica suite di quasi venti minuti. Con Solid realizza un album di rock elettronico, in cui in modo più omogeneo si alterna brano dopo brano al Mellotron e all'Arp 2600, e tratta la chitarra elettrica attraverso il multi-effetto EMS Synthi Hi-Fli. Quello che in Who Will Save the World? The Mighty Groundhogs! ha rappresentato un piccolo spunto e in Hogwash una componente minoritaria, in Solid si trasforma in elemento fondamentale dell'opera. Ma è il lato avanguardista del disco del solo McPhee, secondo la metafora del titolo, a rappresentare uno dei due aspetti della sua cifra stilistica.

Più di Solid e di brani pur temerari come "Joker's Grave", è la lunga suite "The Hunt" di The Two Sides Of Tony (T.S.) McPhee a sembrare oggi preveggente per quanto non completamente riuscita. A corredo della tastiera Arp 2600, McPhee impiega una drum machine, per l'esattezza una Bentley Rhythm Ace. Il risultato è un'evocativa ma zoppicante composizione futuristica che presenta assonanze con le produzioni delle band "kraut" del momento, dal Kraftwerk ai Can. La drum machine in quel periodo è uno strumento ancora tutto da scoprire ma viene impiegato da alcuni musicisti distanti tra loro e dalla ricerca teutonica: il tulsa sound di Naturally di J.J. Cale e il funk di There's a Riot Goin' On di Sly and the Family Stone, si giovano della ritmica sintetica nel 1971, stesso anno della pubblicazione di Tago Mago e Kraftwerk 2. Dello stesso anno di "The Hunt" è invece Journey dei Kingdom Come di Arthur Brown, il primo LP in cui una drum machine, sostituisce integralmente le percussioni tradizionali. 

Arthur Brown e Tony McPhee non solo utilizzano entrambi in Inghilterra una drum machine nello stesso anno ma impiegano il medesimo modello: Bentley Rhythm Ace. Il leader dei Groundhogs è talmente all'avanguardia da precorrere Brian Eno: il non musicista impiega infatti la drum machine solo a partire dall'album Taking Tiger Mountain (By Strategy) del 1974. Con il procedere del secondo lustro degli anni '70, lo strumento si diffonde a macchia d'olio, dalla sperimentazione teutonica alla new wave dei Suicide, passando per la disco music e l'esperienza berlinese di David Bowie e compagnia. Ma in quella prima parte del decennio, soprattutto fuori dai confini tedeschi, l'impiego della drum machine è davvero una mossa azzardata. The Two Sides Of Tony (T.S.) McPhee, anticipa anche certe sonorità impiegate, l'anno successivo, con maggiore sapienza e più creatività, nel più raro LP dell'epoca: il misconosciuto Standing Stone dall'altrettanto ignoto Oliver.

La terza porzione di carriera dei Groundhogs, dopo gli anonimi esordi blues e l'acme hard-psych, si caratterizza quindi per una grande dose di coraggio sperimentale non coadiuvato da un altrettanto massiccio valore autoriale. McPhee, da solista e con i compagni, intuisce quanto l'elettronica possa aprire nuove prospettive, si equipaggia a dovere e trova soluzioni nuove e all'avanguardia ma non riesce a creare brani all'altezza e organizzare progetti musicali di ampio respiro. Per quanto certi spunti di The Two Sides Of Tony (T.S.) McPhee o Solid siano davvero sorprendenti e preveggenti, i vistosi limiti compositivi e di pianificazione complessiva compromettono la produzione tarda della band, relegandola, non senza dispiacere, a materia secondaria. Se Solid sembra uno scialbo album di rock elettronico senza veri guizzi, il disco in solitaria affronta separatamente la musica tradizionale e quella sperimentale e presenta una suite elettronica stimolante ma sconnessa. 

 

 

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