Don Robertson: all’alba della new age

Don Robertson: all’alba della new age

Don Robertson, originario di Boulder in Colorado, cresce ascoltando musica classica. Durante l’adolescenza, si apre alla modernità, apprezzando artisti diversi come Elvis Presley, Lonnie Donegan e Django Reinhardt. Dopo aver suonato con alcuni suoi commilitoni durante il servizio militare, nel 1964 torna a Boulder e fonda la band rock’n’roll Four Nicardors con Jim Carter, Walt Byrns e Phil Burnett. Una sera, a una festa organizzata a casa di Carter, si presenta Townes Van Zandt in compagnia di alcuni amici. Questi ragazzi tornano in quella casa, la notte stessa, e rubano tutto l’equipaggiamento dei Four Nicadors. Intanto Robertson assiste a un concerto di Lee Durley and the Playboys e si innamora del blues, soprattutto di B.B. King. Quando le due band si sciolgono, il chitarrista dei Four Nicadors e il cantante dei Playboys decidono di formare un nuovo gruppo: i Contrasts. Nel 1965, i Contrasts pubblicano due 45 soul “Summertime/More” e “Monkey 'Round/On Green Dolphin Street” per la Contrast. Ma anche la formazione composta da Lee Durley all’organo e alla voce, Don Robertson alla chitarra e Rod Jenkins alla batteria, è di breve durata. Robertson avvia un percorso accademico studiando all’University of Colorado di Boulder, all’Institute of Ethnomusicology di Los Angeles e alla Juilliard School of Music di New York. Approfondisce il sitar con Harihar Rao e le tabla con Shankar Ghosh. E diventa allievo di Ali Akbar Khan e Morton Feldman.

Tra il 1967 e il 1968, grazie a Howard Hirsch, partecipa come turnista alle incisioni, in bilico tra psichedelia e easy listening, di Bobby Callender e Harumi, Tom Parrott e Alan Lorber Orchestra, Orpheus e Chamaeleon Church. Nei dischi si divide tra strumenti etnici e moderni ma in privato compone e incide pezzi di musica d’avanguardia, fortemente dissonanti. Ispirato Vincebus Eruptum dei Blue Cheer, Robertson intensifica la sua ricerca sull’impiego della chitarra elettrica in ambito atonale. Fonda così una band di impostazione radicale, il Don Robertson Trio, con Rand Elias al basso e Mike Dahlgren, alla batteria. Il terzetto viene reclutato dalla MGM ma il responsabile, Alan Lorber, non approva il taglio sperimentale dell’ensemble. L’approccio di Robertson allo strumento, testimoniato in parte sull’album Neon Princess di Tom Parrott, colpisce, però, proprio il produttore dei Blue Cheer. Abe "Voco" Kesh propone così al chitarrista un progetto sulla falsariga dei primi dischi di un altro suo protetto: Harvey Mandel. Ma Robertson decide di imprimere una direzione diversa al suo percorso artistico, rinnegando gran parte dell’esperienza appena compiuta nel biennio 1967-1968. Ottiene così carta bianca per un album a tema, di tutt’altro indirizzo, con la chitarra relegata ai margini. Ora lo strumento cardine nell’armamentario del musicista è una cetra a ottanta corde, accordata sulla scala pentatonica, a imitazione del swarmandala indiano. E il principale punto di riferimento è rappresentato dalla musica dei maestri pakistani Salamat Ali Khan e Nazakat Ali Khan.

Don Robertson pubblica l’LP Dawn per la Limelight, sussidiaria della Mercury Records, nel 1969 a San Francisco. Il musicista incide il disco, nello stesso anno, ai Columbus Recorders e ai Pacific High di San Francisco e agli Amigo Studios di North Hollywood. Con Abe "Voco" Kesh alla produzione, prendono parte all’incisione Marcia al flauto, Suzie al tambura e all’arpa e Rand Elias al basso. Mike Dahlgren, nelle vesti di collaboratore principale, si cimenta invece alla batteria e al gong, ai tamburi e alle steel drum, al glockenspiel e alle campane tubolari. All’intestatario del lavoro spetta, logicamente, il ruolo da protagonista, nonostante le uniche parti recitate vengano affidate a Marcia e Suzie. Robertson in Dawn si dedica all’arte dell’improvvisazione e suona arpa, chitarra, organo, piano, celesta, glockenspiel, jaltarang, claves e tabla. Alle scorribande strumentali vengono accostati effetti ambientali come i rumori delle navi e i versi degli uccelli. Il disco, ispirato alle teorie di Corinne Heline, si poggia su una convinzione granitica: l’esistenza di accordi in armonia o in disarmonia con la natura. L’obiettivo di Dawn è quello di riportare la musica alla sua antica consonanza con il creato e il titolo dell’opera allude appunto a una nuova alba per l’umanità. In realtà, Robertson riserva parte di Dawn alla positività e parte alla negatività, impiegando, di volta in volta, gli accordi virtuosi e gli accordi disgreganti. L’album, perciò, palesa ispirazioni diverse come la musica d’avanguardia e la musica indiana, riuscendo a coniugare lo spirito psichedelico e la sensibilità new age.

Nel brano “Contemplation”, Robertson suona la chitarra elettrica ma impiega lo strumento del rock’n’roll per eseguire un raga indiano. Il musicista, di fatto, rinnega tanto la rivoluzione cageana quanto l’esperienza hendrixiana come due fenomeni di degenerazione dello spirito umano. Sul lato B, inserisce, quindi, rumori e dissonanze esclusivamente per illustrare agli ascoltatori il loro potere ansiogeno. E grazie alla tecnica del collage, giustappone agli elementi disturbanti alcuni frammenti gradevoli per non rendere troppo ostica la fruizione dei brani. Dato alle stampe il disco, Robertson parte, insieme a sua moglie Suzanne Barr, per un viaggio in Messico e Sudamerica. Di ritorno a San Francisco, si mette presto a lavorare al secondo album. In questa fase, cerca di fondere rock e spiritualità, ispirandosi alla produzione d’oltreoceano dei Moody Blues. Ma problemi con i collaboratori e con i discografici lo inducono ad abbandonare il progetto. D’altra parte un’intera epoca è al tramonto: nella cultura hippie serpeggia il satanismo e la filosofia nonviolenta sta lasciando il posto all’aggressività. Nel 1970, Robertson ripone la cetra, vende la chitarra e pubblica il libro Kosmon sulle sue teorie musicali. Si tratta del suo secondo volume dopo a Tabla: a Rhythmic Introduction to Indian Music, un manuale pedagogico del 1968. Successivamente, si trasferisce a Wichita, in Kansas, dove diventa ministro della Golden Dawn Christian Community. Il suo ritiro momentaneo dalle scene sembra un tentativo di espiare la frequentazione del lato oscuro della musica.

Don Robertson pubblica l’LP Dawn per la Limelight nel 1969.

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